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Gender Gap: l’Italia sale 63° posto, tra…

12 Aprile 2022

Di Carla Canale – I tempi per la parità di genere si allungano di un’altra generazione a causa del Covid. La prima evidenza è il divario che separa le donne dagli uomini nel lavoro: per chiudere il gap saranno necessari 267,6 anni, se continueremo di questo passo. A guidare la classifica ancora una volta il Nord Europa con Islanda, Finlandia e Norvegia. Tre Paesi guidati da premier donne.
In un panorama poco roseo emerge il balzo registrato dall’Italia, che ha guadagnato 13 posizioni salendo dal 76esimo al 63esimo posto su un panel di 156 Paesi al mondo. La spinta maggiore al miglioramento è venuta dalla politica, dove risultiamo il 41esimo Paese nella classifica, arrivando addirittura al 33esimo posto se si tiene conto delle donne nell’esecutivo. D’altra parte il governo Conte II aveva raggiunto un record storico con una percentuale del 34% fra ministre, viceministre e sottosegretarie. L’altra faccia della medaglia, però, è la partecipazione economica, che ci vede scivolare al 114esimo posto, fra le maglie nere a livello europeo.
Il Parlamento europeo ha ripetutamente richiesto nuove azioni a livello dell’UE, mirate a migliorare l’applicazione delle disposizioni in materia di parità retributiva. Il Consiglio ha sollecitato sia gli Stati membri sia la Commissione ad agire. Nel giugno 2019 ha chiesto alla Commissione di elaborare misure concrete per migliorare la trasparenza retributiva.
E’ pendente la proposta di Direttiva, stata adottata nell’ambito della Strategia per la parità di genere 2020 – 2025, che pone l’accento sulla trasparenza delle retribuzioni e delle politiche aziendali per rafforzare il principio della parità di trattamento retributiva.
La proposta di direttiva persegue tali obiettivi:
– garantendo la trasparenza retributiva all’interno delle organizzazioni;
– agevolando l’applicazione dei concetti chiave relativi alla parità retributiva, compresi quelli di “retribuzione” e “lavoro di pari valore”;
– rafforzando i meccanismi di applicazione.
Il 3 dicembre è entrata in vigore la Legge 5 novembre 2021, n. 162 (“Legge n. 162”), che modifica il Codice delle Pari Opportunità (D. Lgs. n. 198/2006) e introduce importanti novità nella lotta al gender gap.
La Legge n. 162 amplia la nozione di “discriminazione” fino a ricomprendere ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza, di maternità o paternità, pone (o potrebbe porre) il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:
– posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;
– limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;
– limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione di carriera.
Inoltre, la Legge n. 162 allarga la platea dei soggetti tutelati, includendo sia i lavoratori propriamente intesi sia i candidati ancora in fase di selezione.
Con la Legge n. 162 il legislatore richiama il mondo dell’impresa alla necessità indifferibile di adeguarsi ai dettami della novella legislativa: sono previsti, infatti, pervasivi strumenti di verifica e controllo sulle misure concretamente adottate dal datore di lavoro per ridurre il divario di genere.
Nello specifico, si abbassa a 50 dipendenti la soglia oltre la quale aziende pubbliche e private sono tenute a redigere un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile, andando così a rendere applicabile tale normativa a circa 28mila imprese. Dal punto di vista procedurale, tale rapporto deve essere compilato con cadenza biennale e trasmesso dalle aziende alle RSU/RSA entro il 31 dicembre.
A decorrere dal 1° gennaio 2022, è, inoltre, istituita la “certificazione della parità di genere”: si tratta di uno strumento diretto ad attestare l’effettiva adozione, da parte dell’impresa datrice di lavoro, di politiche e misure concrete finalizzate a ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. Tramite decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri verranno stabiliti:
– i parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere da parte delle aziende, con particolare riferimento alla retribuzione corrisposta, alle opportunità di progressione in carriera e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche con riguardo ai lavoratori occupati di sesso femminile in stato di gravidanza;
– le modalità di acquisizione e di monitoraggio dei dati trasmessi dai datori di lavoro;
– le modalità di coinvolgimento delle RSA, dei consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti competenti;
– le forme di pubblicità della certificazione della parità di genere.
Per l’anno 2022, alle aziende private che siano in possesso della sopra riferita certificazione della parità di genere è concesso, nel limite di uno stanziamento pari a 50 milioni di Euro, un esonero dal versamento dei contributi previdenziali.
Le previsioni della novella legislativa sopra citata si accompagnano alle disposizioni del Decreto Semplificazioni 2021 (DL n. 77/2021, convertito con modificazioni dalla Legge 108/2021), che -nell’ambito delle procedure di gara relative agli investimenti pubblici finanziati con le risorse previste dal Dispositivo di ripresa e resilienza e dal Piano nazionale per gli investimenti complementari- espressamente impone agli operatori economici, già tenuti alla redazione del rapporto sulla situazione del personale, di produrre copia dell’ultimo rapporto redatto, con attestazione della sua conformità a quello trasmesso alle rappresentanze sindacali unitarie/aziendali e ai consiglieri di parità, a pena di esclusione dalle gare di appalto.
L’auspicio è, quindi, che con le nuove previsioni legislative si riduca il gap di genere.
Carla Canale
(Dipartimento Comunicazione COA ROMA, Andrea Pontecorvo)

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