Senza categoria

PARERE DEONTOLOGICO SU CORRISPONDENZA

STRALCIO DEL VERBALE DELL’ADUNANZA DEL 17.11.2022, a cura della STRUTTURA DEONTOLOGICA, Cons. Avv. Donatella Cere’
– L’Avvocato (omissis) ha esposto di aver scambiato con un Collega corrispondenza, dalla stessa istante qualificata come riservata, con cui, tra l’altro, inviava dei verbali assembleari, e di aver ricevuto da altra Collega la richiesta di copia della corrispondenza riservata di cui sopra, in quanto contenente i verbali  assembleari e utile, in altro giudizio, a dimostrare la tardività delle impugnative dei verbali  assembleari suddetti.
L’Avvocato (omissis) chiede, pertanto, se sia possibile fornire alla Collega copia di tale corrispondenza o, in caso negativo, se possa dichiarare formalmente di aver inviato unitamente alla corrispondenza riservata copia dei verbali di cui sopra o, ancora, se possa rendere testimonianza in ordine alla data in cui ha trasmesso tali verbali.
Il Consiglio
udita la relazione del Consigliere Cerè, quale Coordinatrice del Dipartimento Deontologia Disciplina e Massimario, (omissis)
Osserva
Premesso che questo Consiglio non può rendere pareri preventivi in ordine a questioni di carattere deontologico o autorizzare i propri iscritti in ordine ai comportamenti da adottare nello svolgimento dell’attività professionale, si ritiene opportuno richiamare l’art. 48 del Codice Deontologico Forense rubricato “Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega”, che prevede al primo comma che l’Avvocato non possa produrre in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualora sia qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive e le relative risposte.
Il secondo comma dell’art 48 prevede solo due deroghe al divieto contenuto nel primo comma. L’Avvocato può infatti produrre la corrispondenza intercorsa con i colleghi qualora la stessa

a) costituisca perfezionamento e prova di un accordo
b) assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste.
In ogni caso la fattispecie rappresentata appare chiaramente al di fuori delle previsioni del medesimo art. 48 comma 2, lett. a) e b).
Il precetto in questione è posto a tutela del corretto svolgimento dell’attività professionale e, salve le eccezioni previste espressamente e prevale finanche sul dovere di difesa.
Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza 10.04.2013, n. 58, ha affermato che ‘… l’art 28 vieta di produrre in giudizio corrispondenza qualificata come riservata o comunque contenente proposte transattive scambiate tra colleghi; rimane, quindi, esclusa qualsiasi valutazione da parte del destinatario del divieto circa una prevalenza dei doveri di verità o di difesa sul principio di affidabilità lealtà nei rapporti interprofessionali indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata.’

Inoltre, si segnala come la prevalenza nel bilanciamento di interessi fra la volontà di procurare al cliente il pieno esercizio del diritto di difesa da un lato e dall’altro, la necessità di assicurare affidabilità e lealtà nei rapporti di colleganza è risolta a favore di quest’ultima anche da un’altra pronuncia del CNF (cfr. sentenza 29.11.2012, n. 161). In particolare, nel suddetto provvedimento il Consiglio Nazionale Forense ha precisato che ‘… la produzione in giudizio di una lettera contenente una proposta transattiva configura per ciò solo la violazione della norma deontologica di cui all’art 28, precetto che non soffre eccezione alcuna, men che meno in vista del pur commendevole scopo di offrire il massimo della tutela nell’interesse del proprio cliente.’

Il principio deve essere esteso non solo riguardo alla corrispondenza definita riservata, anche per la corrispondenza relativa a proposte transattive ed alle conseguenti risposte, il divieto di produzione in giudizio, sancito dall’art 48 ( e prima dall’art 28 del c.d. previgente), debba valere anche in assenza di situazioni di danno potenziale per la controparte della trattativa poi non andata a buon fine; detto divieto sussiste a prescindere dalla tipologia del giudizio nel quale si intende produrre detta documentazione e dall’oggetto di esso”.

Secondo il Consiglio Nazionale Forense, inoltre, “l’art. 48 nuovo Codice Deontologico Forense (già art. 28 codice previgente) vieta di produrre o riferire in giudizio la corrispondenza espressamente qualificata come riservata quale che ne sia il contenuto, nonché quella contenente proposte transattive scambiate con i colleghi a prescindere dalla suddetta clausola di riservatezza” (per tutte, CNF 27 settembre 2018, n. 110).

Peraltro, è indifferente che si tratti di corrispondenza inviata o ricevuta, poiché, “mutatis mutandis, il precetto contenuto nell’art. 28 [ora art. 48 c.d.f.] non distingue tra corrispondenza inviata o ricevuta essendo il divieto di produzione generale e non colpito da alcuna eccezione” (vedi C.N.F., sent. n. 194/2017).

La corrispondenza che non rispetti tutti i requisiti di un accordo transattivo, da qualunque dei legali di parte essa provenga, non può essere prodotta in giudizio.

Nulla vieta invece l’eventuale testimonianza del legale in processo diverso da quello nel quale costui ha assunto il ruolo di difensore, non potendosi certamente vietare in senso assoluto il diritto-dovere del cittadino comune, seppure Avvocato, di rendere testimonianza.

In relazione alle considerazioni di cui sopra si riporta la Sentenza emessa dal Consiglio Nazionale Forense (08/102013, n.172): “il rapporto tra il ruolo di difensore e quello di testimone non si presta ad essere disciplinato in termini assoluti ed astratti, ma va contestualizzato e valutato, caso per caso, non trattandosi di incompatibilità assoluta e rilevando esclusivamente sotto il profilo deontologico e non processuale. I principi, cui il divieto è preposto, devono ricercarsi nella necessità di garantire che, attraverso la testimonianza, il difensore non venga meno ai canoni di riservatezza, lealtà e probità cui è obbligato ad attenersi nell’attività di difesa, rendendo pubblici fatti e circostanze apprese a causa della sua funzione e coperte dal segreto professionale. Il divieto, inoltre, non può che operare nel medesimo processo che vede l’Avvocato svolgere l’ufficio di difensore, ruolo che è obbligato a dismettere nel momento in cui decide di avvalersi della facoltà di rendere testimonianza e precedentemente alla sua escussione, al fine di evitare la commistione dei ruoli stessi. In altre parole, l’Avvocato non può trovarsi contemporaneamente a rivestire i due ruoli nel medesimo processo. Nulla invece la norma dice, e può dire, in relazione alla eventuale testimonianza da rendersi in procedimento diverso da quello nel quale si è difensore, non essendo in grado certamente di vietare in senso assoluto il diritto-dovere del cittadino comune, seppure Avvocato, di rendere testimonianza e prevedendo il solo correttivo del potersi avvalere del vincolo di segretezza per sottrarvisi.”

Dello stesso tenore, con specifico riferimento alla normativa processuale, è l’ordinanza della Corte Costituzionale (21 dicembre 2001 n. 433) che ha rilevato come ”il problema dei rapporti tra il ruolo del difensore e l’ufficio di testimone non si presta ad essere disciplinato in termini assoluti ed astratti all’interno del codice ma trova la sua naturale collocazione nella sfera delle regole deontologiche, alle quali, per la loro stessa struttura e funzione, spetta di individuare, a seconda delle varie concrete situazioni, in quali casi il munus difensivo non possa conciliarsi con l’ufficio di testimone.”

Sul punto si espressa pure la Corte di Cassazione (Cass. Ord. 6 dicembre 2017, n. 29301, che richiama Cass. n.16151 del 2010 e Cass. penale 28.03/2017 n.22954) secondo cui è legittima la testimonianza del difensore in giudizio ma solo dopo la rinuncia al mandato: ”non sussiste l’incompatibilità tra l’esercizio delle funzioni di difensore e quelle di teste nell’ambito del medesimo giudizio se non nei termini della contestualità, per cui contemporaneamente il difensore non può anche essere testimone mentre non vi è base normativa per sostenere che un difensore, che abbia reso testimonianza in un processo, in una fase in cui non svolgeva il suo ruolo di difensore costituito, non possa assumere la veste di difensore successivamente alla testimonianza”. L’Ordinanza precisa, inoltre, che anche in sede civile “il problema dei rapporti tra il ruolo del difensore e l’ufficio del testimone trova la sua naturale collocazione tra le regole deontologiche”.
Atteso quanto sopra, il Consiglio
Ritiene

che l’istante possa trovare esaustiva risposta nella normativa e nella giurisprudenza sopra richiamate. Delibera immediatamente esecutiva con pubblicazione dell’estratto sul sito istituzionale e la diffusione tramite newsletter e social a cura del Dipartimento competente.

Dipartimento Comunicazione, Cons. Avv. Andrea Pontecorvo