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LAVORO AGILE E DIRITTO ALLA DISCONNESSIONE: VERSO…

07 Aprile 2022

07.04.2022 – di Cristina Tamburro

L’ampliamento del ricorso al Lavoro Agile, dovuto alla necessità di evitare i contatti sociali in occasione del diffondersi dell’epidemia da COVID-19, se da una parte ha rivelato le potenzialità della flessibilità, ha, d’altro canto, configurato nuovi rischi ai danni della personalità morale e della salute del lavoratore, laddove questo sia tenuto o incentivato ad operare costantemente connesso “on-line”.
Emerge, pertanto, la necessità di attuare il “diritto alla disconnessione”, inteso come diritto del lavoratore a non essere sempre reperibile, evitando che la vita privata e quella lavorativa si confondano in un inscindibile binomio.
Il primo riferimento normativo alla disconnessione è contenuto nella L. n. 81/2017 sul Lavoro Agile: la norma rimette all’accordo individuale di individuare “i tempi di riposo del lavoratore, nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro” (art. 19, L. n. 81/2017).
Il Legislatore, pertanto, non ha esso stesso disciplinato la disconnessione sul piano generale, ma ne ha demandato alle parti la regolazione.
Nel corso di audizione alla Commissione lavoro del Senato del 13 maggio 2020 sulle “ricadute occupazionali dell’epidemia da Covid-19”, Il Presidente dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali aveva posto l’accento sulla questione della disconnessione, evidenziando come andasse “assicurato ─ in modo più netto di quanto già previsto ─ anche quel diritto alla disconnessione, senza cui si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così alcune tra le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale”.
La normativa emergenziale ─ segnatamente, l’art. 2, comma 1-ter, L. n. 61 del 06/05/2021, che ha convertito con modificazioni il D.L. n. 30 del 13/03/2021 ─ ha riconosciuto, invece, in favore del lavoratore agile, il “diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche”, qualificando lo stesso come “necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore”.
Nel più recente Protocollo Nazionale sul Lavoro in Modalità Agile nel settore privato, sottoscritto il 7 Dicembre 2021 dal Ministero del Lavoro e dalle parti sociali, si prevede, all’art. 3, la necessità di individuare “la fascia di disconnessione nella quale il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa”, da garantirsi attraverso “specifiche misure tecniche e/o organizzative”.

Non esiste, allo stato, una normativa europea sul diritto alla disconnessione, mentre la relativa legislazione differisce fra i diversi Stati membri.
Nell’ordinamento francese, la legge “n. 2016-1088 du 8 aout 2016 relative au travail, à la modérnisation du dialogue social et à la sécurisation des parcours professionels” (c.d. “Loi travail”), ha modificato l’art. 2242-8 del Code du Travail introducendo l’obbligo per le aziende con almeno 50 dipendenti di disciplinare il diritto alla disconnessione nel contratto collettivo aziendale. In difetto di accordo, la disconnessione deve essere prevista in un regolamento, previa consultazione del comité d’entreprise (“comitato aziendale”) o con i rappresentanti dei lavoratori.
Tale disposizione non individua, tuttavia, le sanzioni da applicare in caso di violazione.
In una consimile prospettiva, l’art. 88 della legge organica spagnola n. 3/2018 in tema di “diritti digitali del lavoro”, ha riconosciuto il diritto alla disconnessione digitale, assegnando alla contrattazione collettiva la definizione degli strumenti idonei a rendere effettivo tale diritto.
In Irlanda, non si rinviene una disciplina che riconosca il diritto alla disconnessione.
Nel 2021, tuttavia, la WRC (Ireland’s Workplace Commission) ha pubblicato un “codice di condotta” sul diritto alla disconnessione (“Code of practice for employers and employees on the right to disconnect”), contenente linee guida per dipendenti e per i datori di lavoro.
Il codice ha enunciato, in particolare, tre profili del diritto alla disconnessione: (i) il diritto del dipendente a non svolgere, di regola, la prestazione al di fuori del normale orario di lavoro; (ii) il diritto a non subire penalizzazioni per il fatto di essersi rifiutato di occuparsi di questioni lavorative al di fuori del normale orario di lavoro; (iii) il dovere di rispettare il diritto di disconnessione riconosciuto ad un altro lavoratore.
Il Codice irlandese ha riconosciuto la necessità di creare una cultura in cui i dipendenti si sentano liberi di disconnettersi dal lavoro e dai dispositivi tecnologici, definendo anche talune “best practices”, su come dipendenti e datori di lavoro dovrebbero gestire il diritto alla disconnessione e segnalare eventuali problemi.
Dal 1° febbraio 2022 è stato introdotto, in Belgio, il “diritto alla disconnessione”.
In particolare, con il regio decreto del 02/12/2021, che ha modificato quello del 02/10/1937, i dipendenti pubblici possono essere contattati al di fuori del normale orario di lavoro solo per motivi eccezionali ed imprevisti che richiedono un immediato intervento; non possono, inoltre, essere pregiudicati per il fatto di non aver risposto al telefono o non aver letto messaggi al di fuori del normale orario di lavoro.
Da novembre 2021, il Portogallo ha varato una legge in materia di lavoro agile che prevede, per le imprese con almeno dieci dipendenti, il divieto per i datori di lavoro di contattare i dipendenti al di fuori dell’orario, il divieto di monitoraggio di lavoro a distanza e l’obbligo per le aziende di organizzare degli incontri in presenza per i dipendenti, al fine di limitare la possibile sensazione di isolamento dei lavoratori agili, l’obbligo per le aziende di contribuire alle spese sostenute per il lavoro in remoto, come bollette di internet ed elettricità.

In ambito europeo, è emersa la necessità di adottare una disciplina uniforme che assicuri livelli minimi di tutela ai lavoratori dell’Unione, anche in considerazione del fatto che in circa metà degli Stati membri la disconnessione non è regolata.
Al fine di colmare il vuoto legislativo, nonché l’asimmetria tra le discipline dei vari Stati Membri, con Risoluzione del 21 gennaio 2021, recante “raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione (2019/2181(INL)”, il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a presentare una proposta di direttiva dell’Unione su norme e condizioni minime per garantire che i lavoratori possano esercitare efficacemente il loro diritto alla disconnessione.
La Risoluzione ha definito la disconnessione come “un diritto fondamentale che costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale”, ritenendolo “un importante strumento della politica sociale a livello dell’Unione al fine di garantire la tutela dei diritti di tutti i lavoratori”, in particolare di quelli più fragili.
L’esercizio di tale diritto “consente ai lavoratori di astenersi dallo svolgere mansioni, attività e comunicazioni elettroniche lavorative, come telefonate, e-mail e altri messaggi, al di fuori del loro orario di lavoro, compresi i periodi di riposo, i giorni festivi ufficiali e annuali, i congedi di maternità, paternità e parentali nonché altri tipi di congedo, senza conseguenze negative”.
A tal proposito, nella proposta di direttiva è fatto invito agli Stati membri di garantire una tutela avverso ogni conseguenza pregiudizievole adottata nei confronti del lavoratore agile in relazione all’esercizio del diritto alla disconnessione.
Al riguardo, assume particolare interesse il regime probatorio approntato dalla proposta di direttiva in favore dei lavoratori che ritengano di essere stati discriminati o, comunque, sfavoriti per l’esercizio del diritto alla disconnessione (art. 5).
Laddove, infatti, i lavoratori alleghino in giudizio fatti idonei a far sorgere una presunzione che siano stati licenziati o abbiano subito un altro trattamento sfavorevole per tale motivo, l’onere della prova incombe sul datore di lavoro, che deve dimostrare che il licenziamento o il trattamento sfavorevole sia stato basato su motivi diversi.
Si tratta di un’importante attenuazione dell’onere della prova, non dissimile da quella già prevista dalla normativa antidiscriminatoria e di tutela del whistleblower.

Cristina Tamburro
(Dipartimento Comunicazione COA ROMA, Andrea Pontecorvo)

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