Di Alessandro GRAZIANI – Per gli Avvocati, il profilo economico della professione forense è profondamente connesso al conseguimento dei dovuti compensi nella loro interezza, inclusiva di capitale ed accessori di ogni genere.
Proprio per quanto attiene gli accessori, nel tempo si era sedimentata una sconcertante incertezza circa la decorrenza degli interessi di mora sul capitale spettante all’Avvocato a titolo di compenso professionale.
Inizialmente, in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore, l’ormai abrogato sistema tariffario prevedeva la disposizione contenuta nel D.M. 238/1992, secondo cui gli interessi di mora decorrevano dal terzo mese successivo alla spedizione della parcella al cliente.
A dispetto di ciò, nel tempo si era comunque formata una considerevole giurisprudenza in senso contrario, fondata sulla considerazione che, in ipotesi di controversia avente ad oggetto la spettanza o la misura del compenso, il cliente non potesse essere considerato in mora prima della liquidazione delle somme dovute, da operarsi -in caso di contrasto- mediante provvedimento giudiziale.
In linea con tale risalente tesi, qualche tempo fa era stato finanche ritenuto che la semplice spedizione della parcella ai clienti non fosse idonea a far decorrere gli interessi di mora dal momento che, in assenza di certezza sulla spettanza del compenso, non fosse configurabile alcun colpevole ritardo nel pagamento del debito.
Più recentemente, però, si è affermato il ben diverso principio secondo cui la liquidità del debito non sia il presupposto indispensabile per costituire in mora il cliente, non vigendo nel nostro ordinamento il principio romanistico sintetizzato dal brocardo “in illiquidis non fit mora“.
Questo più recente orientamento è stato espressamente declinato dalla Corte Suprema (sentenza 11736/1998), affermando che il recapito della notula contenente la richiesta di pagamento dei compensi dell’Avvocato integri tutti gli estremi dell’atto di costituzione in mora, idoneo a dispiegare effetti tanto ai fini della decorrenza degli interessi, quanto per l’eventuale determinazione del maggior danno ex art. 1124 comma 2 c.c., senza che assuma alcun rilievo la contestazione del credito da parte del cliente.
Dunque, la richiesta di pagamento del compenso (seppure in misura diversa da quella che possa essere successivamente determinata con provvedimento giudiziario) non esclude che il credito sia sufficientemente identificato ai fini di una idonea costituzione in mora del debitore, foriera della maturazione dei correlativi interessi di mora.
Del resto, sostenere in maniera indiscriminata che gli interessi di mora decorrano solo dalla data della decisione che abbia determinato l’esatto ammontare del credito professionale equivarrebbe a rendere inapplicabile il consueto regime degli effetti della messa in mora ai crediti professionali degli Avvocati e ciò, quanto meno, per quanto concerne le prestazioni giudiziali civili, per le quali alla decisione si perviene per il tramite del procedimento speciale ex articolo 28 della legge n. 794 del 1942 (recentemente novellato dall’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011) oppure del rito monitorio di cui all’art. 633 comma 1 n. 2 c.p.c.
Risolvendo ogni incertezza sul punto, con la recentissima sentenza 8611 dell’11 marzo 2022, la Corte Suprema ha affermato il seguente principio di diritto: “Nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 c.c. competono a far data dalla messa in mora (coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento), e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui all’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore”.
Quest’affermazione costituisce, dunque, un ulteriore riaffermazione del diritto degli Avvocati al pieno conseguimento del proprio compenso, senz’alcuna elisione degli interessi di mora, componente resa tanto più significativa dal comma 4 dell’art. 1284 c.c. che ragguaglia -in caso di condanna giudiziale- il tasso degli interessi moratori a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento delle transazioni commerciali. Alessandro Graziani
(Dipartimento Comunicazione COA ROMA, Andrea Pontecorvo)
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