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Anno Giudiziario 2020 – discorso del Presidente…

03 Febbraio 2020

CERIMONIA DISTRETTUALE DI INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2020
 
Sig. Presidente della Corte,
Autorità tutte presenti,
 
l’inaugurazione dell’anno giudiziario, di ogni anno giudiziario, deve considerarsi l’occasione non rituale per fare il punto sulla situazione della Giustizia.
L’Avvocatura romana e quella distrettuale che ho l’onore di rappresentare, così come quella nazionale, che oggi pure rappresento per conto dell’Organismo congressuale forense, costituisce il soggetto necessario, diremmo integra il contraddittorio, di ogni bilancio consuntivo, così come di ogni progetto che riguarda il complesso delle regole e il sistema organizzativo della giustizia.
La magistratura riveste il ruolo costituzionale di potere dello Stato, ma senza la giusta considerazione di chi rappresenta l’equiordinato diritto costituzionale alla difesa, ogni rappresentazione della relazione del rapporto tra lo Stato e il cittadino sarebbe costituzionalmente menomata.
Ricordiamo volentieri quel passaggio non secondario nel quale Costantino Mortati, padre costituzionale, sottolineava come il diritto alla difesa corrispondesse “non solo all’interesse delle parti, ma a quello della giustizia in quanto le deduzioni delle parti cooperano alla formazione di un retto giudizio”.
Ecco, sia consentito richiamare quello schema concettuale, così semplice eppur veritiero e convincente, per dire che anche nell’organizzazione della giustizia e dei suoi istituti l’avvocatura e la magistratura cooperano alla formazione di un giusto sistema giudiziario.
Auspico perciò che magistratura e avvocatura, entrambe libere e indipendenti, condividano l’esigenza di legittimarsi reciprocamente e ritenersi elementi indefettibili, ciascuno competente per le attribuzioni assegnate dalla Costituzione, dei modi di funzionamento della giustizia e delle sue esigenze di razionalizzazione, di ammodernamento, di aggiornamento giuridico, amministrativo e tecnologico.
L’avvocatura è una parte costituente delle politiche giudiziarie del Paese e, infatti, non può ritenersi compiutamente istruito un atto politico finalizzato alla organizzazione della giustizia se privato del supporto organico di esperienza, di cultura giuridica, di valutazione degli esiti da parte dell’avvocatura e pertanto auspico che alla volontà di partecipazione tecnico giuridica, sociale e costituzionale non si contrapponga un ingiustificato ostracismo.
L’anno appena trascorso ha visto la Giustizia Italiana al centro dell’attenzione generale

  • sia per il clamore di indagini di rilievo e, in particolare, nell’estate 2019, per le note vicende dai risvolti anche giudiziari che hanno direttamente investito gli stessi operatori della giurisdizione ed il governo autonomo della magistratura,
  • sia per le riforme, in parte approvate e in corso di attuazione e in parte solo annunciate dal Ministro e dalle maggioranze di governo che si sono succedute.

Sotto quest’ultimo profilo basterà ricordare

  • la legge sul c.d. codice rosso (L. 19 luglio 2019, n. 69) per tutelare i soggetti deboli e, in particolare le vittime di violenza domestica e di genere,
  • il rinvio ulteriore della legge di regolamentazione delle intercettazioni telefoniche (la c.d. riforma Orlando L. 23 giu. 2017, n. 103, in vigore dal 1 marzo prossimo),
  • la riforma della disciplina delle c.d. class action (L. 12 aprile 2019, n. 31),
  • il disegno di legge delega al Governo per l’efficienza del processo civile e la revisione degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie,
  • l’introduzione nell’ordinamento giudiziario dell’organico di magistratura distrettuale flessibile.

Non v’è dubbio però che al centro del dibattito, anche nel nostro Distretto, v’è stata l’entrata in vigore dal 1 gennaio della disciplina, introdotta dalla legge volgarmente denominata “spazzacorrotti” (L. 9 gen. 2019, n. 3), che sospende il decorso del termine della prescrizione dopo la sentenza penale di primo grado e fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (art. 159 c.p.).
La posizione dell’Avvocatura e quella della comunità dei giuristi, con la rara eccezione di taluni oramai abituali predicatori televisivi, è nota ed è di preoccupata contrarietà per l’incostituzionale violazione dei principi generali di civiltà giuridica della certezza del diritto e della giusta durata del processo.
Il Presidente della Corte nella Sua relazione mi ha onorato di una citazione relativa ad un mio intervento sui social dove evidenziavo che la definizione in tempi ragionevoli del processo è un diritto di tutte le parti (imputato e persona offesa) ed è il presupposto della funzione rieducativa della pena. Negarlo, vuol dire negare la rilevanza che assume inevitabilmente il tempo nella vita di ciascuno di noi. Si tratta di un modo subdolo per scaricare sul cittadino le inefficienze della Giustizia che non potrà mai essere condiviso dai difensori del cittadino medesimo.
La crisi della giurisdizione non può essere contrastata, né risolta attraverso la riduzione delle garanzie e dei diritti delle parti e della difesa, talvolta presentati nel dibattito pubblico come un inutile e costoso ostacolo che si frappone al corretto e ordinato corso dell’attività giudiziaria.
Tale falsa descrizione della realtà ha purtroppo come corollario il serio e concreto pericolo di un gravissimo e inammissibile arretramento della civiltà giuridica del nostro paese, oltre all’annunciata realizzazione dell’effetto opposto rispetto a quello immaginato dal legislatore della riforma: ieri il Presidente della Suprema Corte di Cassazione ha lanciato un grido di dolore avvertendo anche i più sprovveduti che, una volta a regime, la riforma comporterà l’approdo in Cassazione di oltre 25.000 ulteriori procedimenti l’anno con un incremento del carico di lavoro del giudice di legittimità del 50% annuo.
Certamente però il deficit di efficienza, efficacia e tempestività della risposta giudiziaria costituisce un problema centrale delle nostre istituzioni ed è la causa prima della disaffezione generale che la comunità nazionale manifesta nei confronti delle istituzioni giudiziarie, al punto da determinare perdita di credibilità e competitività del nostro paese anche nello scenario internazionale.
Al ministero di noi difensori gli assistiti tutti (cittadini, imprese, enti) affidano richieste di tutela giurisdizionale che abbiamo l’obbligo di tradurre in strumenti giuridici adeguati e in iniziative concretamente utili, garantendo la qualità delle prestazioni professionali e per questo è essenziale il riconoscimento di un compenso equo, purtroppo talvolta negato non soltanto dai grandi committenti, ma con liquidazioni giudiziarie inutilmente vessatorie che non tengono conto della realtà.
La crisi della giurisdizione è talmente avvertita dall’avvocatura che ad essa ha interamente dedicata una sessione dell’ultimo Congresso  Nazionale  Forense conclusa con l’approvazione di un manifesto programmatico per l’effettività della tutela dei diritti e per la salvaguardia della Giurisdizione.
Gli uffici giudiziari, compresi quelli del nostro Distretto, sono afflitti da

  • una grave insufficienza di magistrati,
  • una drammatica vacanza dei ruoli del personale amministrativo e, più in generale,
  • una inammissibile inadeguatezza delle risorse economiche destinate a quella che è una funzione primaria dello Stato di diritto, in quanto volta alla concreta realizzazione dei diritti dei singoli e della collettività e all’inveramento dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale.

La crisi della giurisdizione è dunque un fenomeno che negli ultimi decenni, con responsabilità che possono essere equamente ripartite tra le forze di governo che si sono via via succedute, ha assunto i tratti di una patologia endemica e cronica che trova solo un parziale miglioramento con il piano di assunzioni programmato dal Ministero.
Preoccupa in primo luogo lo stato materiale di conservazione degli edifici in cui le attività giudiziarie sono svolte nonostante il dissesto delle strutture, distribuite in diversi edifici, distanti tra loro e scelti più in base alle strette contingenze che in ragione di criteri di razionale organizzazione.
Allo stato di degrado materiale degli edifici, vanno aggiunte le condizioni emergenziali in cui si svolgono le attività giudiziarie per la cronica carenze di personale.
Il dato romano è significativo e rappresenta perfettamente la situazione che descrivo in modo oggettivo.  Infatti, su 1.202 unità di personale previste nella pianta organica v’è una scopertura di oltre 400 (esattamente 412: sono perciò in servizio soltanto 790 unità residue di personale): oltre il 30% di posti vacanti!
Nessuna azienda, pubblica o privata, per quanto virtuosa (… neppure quelle della Silicon Valley), potrebbe funzionare in una situazione simile.
E’ dunque un vero e proprio miracolo che il sistema ancora regga grazie all’eroico sacrificio di noi tutti: avvocati, magistrati e personale amministrativo.
Sotto questo crinale va apprezzato l’impegno alle nuove assunzioni annunciato dal Ministro, ma occorre intervenire immediatamente e non c’è tempo per attendere i futuri vincitori dei concorsi che saranno espletati nel triennio.
Sulla questione dei tempi della risposta giudiziaria si è già detto molto e in moltissime occasioni. Il fenomeno ha dimensioni e portata che vanno oltre i numeri delle statistiche ufficiali, spesso rese “esteticamente” più gradevoli con adeguati accorgimenti tecnici.
L’avvocatura ha ovunque offerto la propria disponibilità, sia adeguandosi alle situazioni di disservizio, sia attraverso la supplenza delle istituzioni forensi locali, che hanno messo a disposizione importanti risorse economiche per fare fronte elle emergenze.
Il solo Ordine forense romano oramai ha ben n. 13 unità di personale assegnate in supporto degli uffici giudiziari per consentirne il funzionamento ed evitarne il collasso. Altro che lucrare sulla prescrizione come raccontano i telepredicatori: gli avvocati romani pagano di tasca propria per consentire il funzionamento del sistema!
Dalla situazione descritta è conseguito che purtroppo la giurisdizione è vista dalla collettività come distante e non in grado di affermare la presenza del presidio statale sul territorio, non sostiene il nostro sistema produttivo e non costituisce adeguato presidio di legalità nel sistema di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali.
La crisi è arrivata al punto da tradursi in una generale disaffezione per le istituzioni giudiziarie e mettere a serissimo rischio la stessa legittimazione della Giurisdizione nei confronti della Comunità Nazionale.
Tale rischio non può essere combattuto solo con riforme processuali a costo zero, né può essere evitato con le soluzioni volontaristiche ed emergenziali. Certamente non può essere fronteggiato con l’aggravamento della risposta giustizialista, con la riduzione delle garanzie processuali delle parti e con l’attribuzione di responsabilità all’eccessività della domanda giudiziale e al ruolo della difesa nel processo: si tratta di una strategia inutile che rende ancor più acuta la delegittimazione e disgrega le forze che tutti dobbiamo mettere in campo.
L’avvocatura, lungi dall’essere espressione di un potere, costituisce presidio di libertà e di garanzia dei diritti e delle tutele, affinché sia sempre assicurata, con il ripristino della legalità violata, la riparazione delle lesioni dei diritti e delle libertà e conseguentemente il contenimento dell’abuso di ogni forma di potere e del consolidamento delle situazioni di squilibrio sociale. Il suo ruolo, la sua autonomia e la sua indipendenza costituiscono un patrimonio collettivo da salvaguardare, in uno con l’autonomia e l’indipendenza degli altri soggetti della giurisdizione.
La situazione sin qui descritta anche nel nostro Distretto deve oramai essere fronteggiata nella consapevolezza che si tratta di una vera e propria emergenza che deve diventare una priorità nazionale alla quale vanno destinate, in via prioritaria, risorse straordinarie.
Noi siamo disponibili a dimostrare nei fatti la volontà di stipulare un vero e proprio “Patto per la Giurisdizione” con il quale tutte le componenti, legittimandosi e coinvolgendosi reciprocamente, si sostengono per fare recuperare alla giurisdizione quella credibilità e quel sostegno collettivo che le spettano quale luogo di elezione della tutela dei diritti, senza i quali sono a rischio gli elementi fondanti della nostra civile convivenza. Da questo punto di vista credo che Roma possa essere un modello virtuoso da seguire: gli incontri mensili tra il nostro Ordine forense ed i capi degli uffici giudiziari, promossi dal Presidente della Corte dott. Panzani, hanno consentito una maggiore conoscenza reciproca delle difficoltà e lo scambio di informazioni, argomenti e consigli, nonché di superare varie situazioni di criticità.
È con tale auspicio che porgo al Presidente della Corte, al Procuratore Generale ed a tutti l’augurio di buon lavoro dell’Avvocatura romana, di quella del Distretto della Corte di Appello di Roma e di quella nazionale dell’OCF.
Roma, 31 gennaio 2020
Antonino Galletti
 

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